La Responsabilità Sociale d’impresa – cos’è

Seconda Parte © Simona Biancu

Nella prima parte di questo excursus sulla Responsabilità Sociale d’Impresa abbiamo accennato a cosa si intende con questa locuzione. In questa seconda parte proveremo ad approfondire la via responsabile al business, evidenziando alcune tra le strade percorribili dalle aziende e i benefici connessi. E’ opportuno, in apertura, tornare a porre l’accento sulla considerazione della Responsabilità Sociale d’Impresa come via strategica al business e non, come a volte accade, come un complesso di azioni in qualche modo analoghe alla “filantropia aziendale”, ovvero alla destinazione di una quota dei profitti al sostegno di cause sociali. La Responsabilità Sociale d’Impresa non è, in altre parole, solo beneficenza, né solo un’attività connessa alla strategia di comunicazione dell’azienda. E’ dunque la consapevolezza della strategicità della CSR a farne non una moda o un trend passeggero ma, al contrario, una dimensione connaturata alla stessa esistenza dell’azienda. Gli strumenti che più spesso vengono adottati come azioni di responsabilità sociale sono il codice etico e il bilancio sociale. Indubbiamente segni distintivi dell’attenzione ad un approccio maggiormente responsabile, ma, in sé, non sufficienti se non accompagnati da misure onnicomprensive a livello strategico. A fronte di una sempre maggior attenzione e di una domanda crescente da parte dei consumatori in termini di trasparenza nella catena dei fornitori, di politiche per la sicurezza sul lavoro e di gestione delle risorse umane, di cura della comunità all’interno della quale l’azienda agisce più direttamente, è evidente come l’approccio etico da parte delle aziende richieda un’impostazione al vertice della catena decisionale ed una sensibilità che consideri i risultati aziendali come l’insieme di utili e benessere sociale e ambientale. Appare dunque pressochè inutile, dal punto di vista dell’approccio strategico alla CSR, l’adozione di certificazioni se intese come rispetto di requisiti solo formali, o il sostegno ad azioni di beneficenza senza un costante monitoraggio e rendicontazione dell’uso delle risorse, o una politica di comunicazione e marketing non supportata da una reale adesione all’approccio CSR-­‐oriented (in particolare quest’ultima è un’azione alquanto rischiosa se effettuata tramite i social network in quanto canali di interazione critica e reale con i consumatori)… per non parlare del greenwashing già accennato nella prima parte di questo articolo! Avere un approccio CSR-­‐oriented non si esaurisce, dunque, nel pubblicare un Bilancio Sociale sul sito web dell’azienda o nell’elencare le partnership con organizzazioni no-­‐profit. Significa aver fatto proprio, nella pratica quotidiana, il concetto della gestione etica: nei rapporti con i collaboratori in termini di politiche di salute e sicurezza sul lavoro, pari opportunità, servizi offerti su base volontaria (asili aziendali, formazione permanente, politiche del tempo di lavoro, assunzione di lavoratori disabili ed extracomunitari, ecc.), nelle interazioni con i clienti in termini di pubblicità etica, offerte e iniziative di Cause Related Marketing, nella relazione con i fornitori attraverso la gestione etica della supply chain o l’acquisto di prodotti da soggetti svantaggiati o dalla rete del commercio equo e solidale, nel rapporto organico con la comunità locale attraverso donazioni e sponsorizzazioni, forme di volontariato d’impresa, collaborazioni con scuole e Università, e così via. Significa essere attenti al proprio impatto sull’ambiente mediante l’adozione di politiche di riduzione delle emissioni, dei consumi energetici e in generale delle materie prime attraverso pratiche di riciclo e riutilizzo. Significa anche adottare una strategia responsabile e comunicarla – sul proprio sito web, sui canali social -­‐ perché possa rendere noti i tratti positivi distintivi e anche – magari -­‐ dar vita a fenomeni di emulazione evidenziando che è possibile essere responsabili e, al tempo stesso, fare impresa e utili. Significa, infine, adottare una sistema di governance che integri il CSR manager e quanto connesso alle responsabilità in tema di CSR all’interno degli organi di governo come presenza stabile e imprescindibile, e non come concessione necessaria ma non del tutto vincolante. Se tutto questo è la prassi e coincide con la cultura aziendale, allora i benefici in termini di maggior adesione agli obiettivi dell’azienda e miglioramento del clima lavorativo, di miglioramento della reputazione e della percezione del brand, di creazione della brand loyalty (la fedeltà di marca di cui tanto oggi si parla soprattutto con riferimento alle politiche di engagement delle aziende sui social network), di aumento dei comportamenti d’acquisto favorevoli da parte dei consumatori, di miglioramento dell’impatto aziendale, saranno un effetto conseguente alla definizione di una immagine responsabile che è anche sostanza e che costituisce il tratto distintivo di un’azienda rispetto alle altre. Se l’adozione di strategie di Responsabilità Sociale porta, dunque, come abbiamo visto, ad una pluralità di benefici per l’azienda dal punto di vista economico, di motivazione, di reputazione, l’obiettivo diventa quello di passare dal considerarla un’opzione per il miglioramento della propria immagine a strumento strategico del business: “una strategia di CSR non è un “mezzo per”, bensì ha a che fare con la capacità dell’azienda di riflettere sul proprio ruolo all’interno della rete neurale alla quale appartiene (…) La CSR non è “un qualcosa che si fa per”. La CSR è l’azienda, e l’azienda è la propria CSR”1. Per concludere, è interessante notare come in questo periodo di crisi generalizzata le aziende che già avevano intrapreso un percorso di adesione a strategie di Responsabilità Sociale hanno tenuto fermo il proprio impegno come risposta “etica” alla crisi. Atteggiamento che ha ripagato in termini di percezione del brand come approccio che incoraggia ciascuno a fare la propria parte in un momento difficile e che ha premiato soprattutto in termini di considerazione da parte della comunità dei consumatori. La crisi internazionale, dunque, fornisce concretamente la possibilità di un cambiamento nel modello strategico di business…e chi riesce a cogliere questa opportunità ne avrà un indubbio vantaggio competitivo nell’impostazione della propria strategia di uscita dalla crisi. E, infine, qualche riferimento sul web: www.csr.unioncamere.it www.rsinews.it www.csrmanagernetwork.it

1 L. Poma, “15 regole per un nuovo modello di business”, in www.ferpi.it, 27.12.2011