Coworking e FabLab ad Alessandria, via La Stampa

Questa settimana, La Stampa di Alessandria ha dedicato più di uno spazio alla nostra associazione.
Riportiamo qui i due principali articoli, riferiti al coworking e al nuovo FabLab di Alessandria.
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Nel cuore del quartiere più antico di Alessandria c’è il laboratorio più tecnologico della città
Stampanti e scanner 3d, lasercut, cutter plotter e un laboratorio per la sartoria: “Qui non si creano prodotti di massa, ma oggetti personalizzati”. E l’Europa ha superato gli Usa
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Cinquantamila euro di macchine. Una dotazione che gli artigiani sognano da sempre e che in via Verona sono semplicemente la realtà. Benvenuti al FabLab di Alessandria, appena inaugurato ma che già da qualche giorno «pulsa» nel cuore di Borgo Rovereto, il quartiere più antico della città.
Fabio Scaltritti della Comunità di San Benedetto e Domenico Rao dal Lab121 gestiscono questo laboratorio per creativi: «Si gioca molto sulla filosofia del coworking – spiegano – Questo è uno spazio condiviso dove si possono usare strumenti e tecnologie che in proprio sarebbero difficilmente acquisibili. Nasce per valorizzare le competenze: qui non si creano prodotti di massa ma oggetti personalizzati. L’artigiano è libero».
Spiegano che l’Europa ha superato gli Stati Uniti per numero di FabLab, che sarà aperto anche Porto Idee, un’agenzia per i servizi al lavoro accreditata in Regione. «Spazi d’incontro, quindi, tra chi cerca lavoro e chi lo crea». L’hanno aperta provvisoriamente, per un mese, alla Casa di Quartiere (lo spazio di fronte) e hanno raccolto quattrocento curricula, fatti altrettanti colloqui. «Il fine – continuano – è costruire una comunità coesa. Sarà un community center». Per entrare, basta tesserarsi al Lab121.
Gli spazi sono tanti: c’è il laboratorio d’informatica, c’è la stanza «preziosa» con le macchine (due stampanti 3d, un lasercut, una fresa, un cutter plotter, un banco elettronico, scanner 3d), un laboratorio per la sartoria.
Il FabLab è un’iniziativa promossa dal Comune di Alessandria attraverso il progetto Pisu (il piano integrato di sviluppo urbano). L’inaugurazione oggi con i più piccoli: ci sarà il CoderDojo (lezioni di programmazione per bambini) con Valeria Cagnina, la digital champion di Alessandria.
VALENTINA FREZZATO
ALESSANDRIA
12 marzo 2016
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Scrivania, stampanti, idee e progetti: tutto condiviso. La mia giornata da coworker
Al lavoro nel centro Lab121 di Alessandria che ha appena compiuto cinque anni
Per provare l’effetto che fa, per capire perché in tanti scelgono di condividere la scrivania, per sentirsi parte di un gruppo coeso (e concreto): le motivazioni per provare a essere coworker per un giorno sono tante. In primis, c’è la voglia di raccontare un mondo fatto di cavi del computer che si prestano, di professionalità che si intrecciano, di relazioni che si creano tra un caffè e una telefonata, tra un progetto e un logo da creare.
Sono stata nel coworking di Alessandria per un giorno, lavorando (davvero) da lì, conoscendo chi lo frequenta spesso e chi passa solo qualche volta. Scoprendo storie (d’azienda, di vita) e stupendomi di quante lampadine (leggi: idee) si sono accese sulla mia testa semplicemente chiedendo un’informazione o «chi sei tu?» al mio vicino di scrivania, che in una mattina e un pomeriggio è cambiato tante volte. Il Lab121 di Alessandria ha appena compiuto cinque anni; e accanto alla sede ha da poco aperto la nuova «appendice» del centro, il FabLab, il fabrication laboratory in cui si trovano stampanti 3d e nuovi spazi. Da condividere, ovviamente.
Tutto inizia con una tessera: «Sono 30 euro all’anno». E con una prima parola da imparare: «Host». La host – cioè chi mi accoglie – si chiama Chiara Romeo, ha 28 anni e gestisce gli ingressi al Lab121 di Alessandria. Mi accompagna nell’open space: tavoloni e sedie (comode), prese come se piovesse (e infatti scendono dal soffitto), i miei primi «ciao». In nemmeno cento metri quadrati c’è tutto: un ufficio da condividere, un altro chiuso da poter affittare per stare più tranquilli, una sala riunioni. Poi bagno e cucina. Stampanti, scanner (tutto incluso nel prezzo).
«Se ti serve qualcosa, io sono qui. Nel frattempo, vuoi un caffè?». Gentile lei, gentili tutti, che mi accolgono come se già mi conoscessero ma non fanno domande, se prima non parlo io. Fondamentale, qui, è la discrezione. Si capisce subito: c’è silenzio, c’è rispetto. Se bisogna fare una telefonata si cambia «space» o si va fuori in cortile. Ma se hai bisogno di aiuto, ci mettono pochissimo a dartelo.
Di fronte a me, alle 10,30, c’è Simonetta Pozzi. Alessandrina, frequenta il Lab da sempre, dall’anno scorso è nel direttivo. La conosco per via di un consiglio: «Sto scrivendo un’intervista per LinkedIn. Tu che fai la giornalista, dimmi quale formattazione secondo te va meglio». Da lì a farmi raccontare la sua storia, ci metto poco: «Lavoravo per un’azienda a Torino, ero nel direct marketing. Seguivo progetti sui talenti.
Poi sono arrivata qui, mi sono appassionata subito al concetto di coworking perché mi piace la condivisione, la rete. Mi ero iscritta a un corso, poi ad un altro. Ma è con quello sullo storytelling che è nata la scintilla». Così ha conosciuto la sua attuale socia, Patrizia Soffiati di Torino, con cui ha creato StorytellingIta: «Facciamo corsi per aziende e persone, a Milano e a Torino». Dopo l’intervista – formattata bene – si mette a preparare le prossime lezioni: «Le faremo a Milano, al Coworking Lab». E sono già invitata. Lei fa parte dell’osservatorio nazionale di Storytelling, è specializzata in tools (strumenti, un’altra parola da imparare) narrativi.
Arriva Filippo Savio, fino a quel momento chiuso nell’ufficio privato; sessant’anni e un passato da consulente nel campo delle risorse umane. Passa dall’open space per prendere la focaccia (che ha portato Simonetta). Si mettono a parlare di progetti di team building da esportare in Tunisia. Ed è in questo momento che arriva Domenico «Mico» Rao, tra i fondatori del Lab121, mente brillante alla base di tanti progetti ed eventi. E pioniere del coworking. Dice subito: «Filippo mi serve sempre come esempio per spiegare che il Lab è un luogo vivace dove ci sono giovani affamati di informazioni e gente d’esperienza da cui imparare. Insieme adesso stiamo pensando a un progetto di tirocini in azienda». Insieme è una parola che qui si sente dire spesso. Mico mi dice che i soci sono 674. «L’ultimo, un ragazzo che commercia in bambù». Fantastico, penso io. Perché mi colpisce questo mondo diversificato: grafici, programmatori, architetti, artigiani, designer, avvocati, psicologi. C’è di tutto, ci sono tutti.
Mi alzo, accetto il caffè offerto da Chiara, vado a sbirciare tra i libri che si possono prendere in prestito (qui c’è il bookcrossing). Alle 12,30 arriva Alberto Bassi, è il presidente. Cosa fai? «Vendo software, ma adesso sto lavorando a una App con un esperto di open data». Quante collaborazioni hai visto nascere qui? «Tantissime. Una decina “serie” sotto i miei occhi». Cosa vorresti vedere? «Più studenti».
Torno nel pomeriggio, piazzo notebook e telefono. Cambio zona del tavolo. Di fronte a me, Giorgio Baracco, protagonista della prima exit (vuol dire azienda nata all’interno dell’ambiente) del Lab, Proteina. Mi spiega: «I coworking sono realtà in cui ci si aiuta. C’è il tema della solitudine dei consulenti, che qui viene azzerata. Si creano legami di solidarietà. Ci sono giovani in cerca di lavoro, quarantenni che devono reinventarsi. Sai cosa aiuta? Gli eventi, qui sono tantissimi». Arriva un suo stagista, Biagio Ratti, 22 anni. Mi regala un segnalibro fatto con una bustina di té. Così, solo perché vede che ho un libro. Capisco che ciò che piace è (anche) il clima, informale. E il fatto che i momenti di pausa non sono mai noiosi.
VALENTINA FREZZATO
ALESSANDRIA
13 marzo 2016